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Tratto da
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del 15 Agosto 2002
L’ANALISI DEL SOTTOSEGRETARIO NITIN
DESAI, CHE HA STILATO L’ULTIMO RAPPORTO DELL’ONU
«Per la Terra ultima chance
a Johannesburg» «Al
summit sull’ambiente bisogna prendere decisioni
coraggiose»
di Paolo
Mastrolilli
NEW YORK. Non bisogna essere
scienziati, per capire che al nostro pianeta sta
accadendo qualcosa di molto pericoloso. Spero che i
fenomeni delle ultime settimane, dalle inondazioni in
Europa alla nube tossica in Asia, convincano i
partecipanti al vertice di Johannesburg che devono
venire per prendere subito iniziative concrete». Nitin
Desai, sottosegretario generale dell'Onu e responsabile
del Summit sullo sviluppo sostenibile che si apre il 26
agosto in Sud Africa, ha parecchio da fare. Sta chiuso
nel Palazzo di Vetro, per completare gli ultimi
preparativi della conferenza, ma trova il tempo per
lanciare ancora un appello.
Due giorni fa lei ha presentato il
rapporto «Global Challenge, Global Opportunity», in cui
sostiene che il nostro stile di vita sta minacciando il
futuro del pianeta. C'è una connessione tra l'allarme
che avete lanciato e le inondazioni che stanno
sconvolgendo Praga e l'Europa? «Una
cosa è certa: in tutto il mondo si stanno verificando
fenomeni eccessivi. Al Nord piove troppo, o piove nei
momenti sbagliati; al Sud non piove, e molte regioni
sono minacciate dalla siccità. Tutto questo non può
essere scollegato dai profondi mutamenti climatici che
abbiamo documentato nel rapporto, che vanno dall'aumento
delle temperature medie, all'innalzamento del livello
dei mari di un centimetro ogni decennio. Le inondazioni,
però, non dipendono solo dalle precipitazioni, ma anche
da altri fattori come l'uso della terra. Quindi il
messaggio generale che viene da questi fenomeni è
univoco: le modalità attuali di sviluppo del nostro
pianeta non sono sostenibili, e stanno creando squilibri
che la gente comincia a toccare con mano, con
conseguenze disastrose nel caso di Praga. Perciò
dobbiamo convincerci che la sostenibilità dello sviluppo
è ormai un obiettivo di lungo termine irrinunciabile».
Secondo il vostro rapporto, gli
abitanti dei Paesi ricchi consumano dieci volte più
combustibili fossili di quelli dei paesi in via di
sviluppo, eppure il concetto delle responsabilità
differenziate è ancora uno dei temi dibattuti in vista
di Johannesburg. E' possibile una
soluzione? «L'Europa sembra aver
capito, e ha accettato i termini del protocollo di Kyoto, anche se resta molto da fare e solo la Germania e
la Gran Bretagna hanno raggiunto gli obiettivi previsti.
In Nord America, invece, le emissioni di gas sono
addirittura aumentate del 18%. Questi concetti, però,
erano già stati accettati da tutti nella conferenza di
Marrakesh, e non possiamo metterci a rinegoziarli a
Johannesburg. Quello che vogliamo, nel Summit
sudafricano, è spingere tutti i partecipanti a prendere
impegni precisi nel campo dell'energia, che ha un
impatto diretto tanto sulle inondazioni in Europa,
quanto sulla nube tossica asiatica»
Quali
impegni? «I settori chiave sono tre:
l'energia sostenibile per tutti, la rinnovabilità e
l'efficienza. Nel mondo ci sono ancora due miliardi di
persone che usano fonti energetiche preindustriali, con
altissimi livelli di inquinamento: non possiamo più
permettercelo. L'energia rinnovabile sta aumentando, ma
è ancora troppo poca e bisogna potenziare gli
investimenti per svilupparla. L'efficienza negli usi,
infine, può e deve essere migliorata. La Cina, ad
esempio, ha cominciato di recente l'utilizzo di
lampadine ad alta resa: se lo estendessimo, potremmo
subito fare a meno di 40 centrali elettriche e
chiuderle».
Lei ha parlato del
protocollo di Kyoto, che l'amministrazione Bush ha
bocciato. Quanto pesano le resistenze americane, e cosa
chiede al presidente? «Kyoto è stato
firmato, resta sul tavolo anche se non è ratificato, e
non sarà discusso a Johannesburg. Sarebbe molto utile se
Bush partecipasse al vertice, aggiungendo la sua voce a
quella degli oltre cento leader mondiali presenti. La
cosa più importante, però, è che Washington prenda
impegni precisi sui tre punti di cui abbiamo
parlato».
Eppure un concetto molto
controverso resta quello della prevenzione, secondo cui
bisogna agire anche prima di avere la prova scientifica
definitiva dei danni provocati da alcuni comportamenti.
Questa idea non va nella direzione opposta rispetto alla
posizione americana? «La prevenzione
è un fattore centrale, non c'è dubbio. I fenomeni
disastrosi sono già davanti ai nostri occhi, e non
possiamo aspettare di vedere come vanno a finire, prima
di rimediare. Il disaccordo però non è sul concetto, ma
sulle modalità pratiche di attuazione».
Quali risultati concreti
deve raggiungere Johannesburg, per evitare il
fallimento? «Vogliamo che i
partecipanti, tanto i governi quanto le grandi
industrie, prendano impegni su progetti specifici che
intendono realizzare nel campo energetico, in paesi
precisi e in tempi definiti. Non possiamo più
aspettare».
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