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Abbiamo
chiesto al geologo-oceanografo
Massimo Sandrini
di spiegarci cos'è esattamente uno Tsunami e cosa è accaduto realmente
alle Maldive, alla sua popolazione e alla barriera corallina.
Se provassimo a riempire d’acqua un catino di plastica e poi dessimo con
un pugno o un martello un leggero colpo sotto di esso avremmo creato, in
piccolissima scala,
uno Tsunami.
Vedremmo infatti propagarsi
circolarmente una serie di onde che rapidamente si allontanano
circolarmente dal punto sotto il quale abbiamo battuto il nostro
pugno (epicentro del nostro mini – terremoto).
Queste onde si allontanerebbero ad una velocità che è tanto più
elevata quanto più profondo è il nostro catino. A dire il vero una Tsunami può anche esser provocato da una
eruzione vulcanica, da una
grossa frana sottomarina innescata spesso, ma non sempre, da un
terremoto, o dall’impatto di un
meteorite sulla superficie dell’oceano.
Lo Tsunami del 26 dicembre 2004
è stato provocato da un forte evento sismico
con epicentro al largo della costa nord-occidentale di Sumatra. Questa
zona fa parte della cosi detta “cintura del fuoco” una specie di stretto
corridoio che si snoda attraverso tutti gli oceani del globo e che
unisce i punti a più alto rischio sismico del Pianeta. In queste zone
si formano infatti tensioni, e quindi accumuli di energia di inaudita
potenza che si possono scaricare in terremoti a volte di fortissima
intensità. Il terremoto del 26 dicembre è stato provocato dalla convergenza
tra la placca indiana, quella di Burma, e quella australiana con movimenti
relativi tra loro che si misurano in circa 6 cm anno. Dobbiamo infatti
immaginare, senza entrare troppo in dettagli ad esclusivo appannaggio
degli “addetti ai lavori”, che la superficie del nostro Pianeta è
divisa in placche che si spostano tra loro. Questi spostamenti in vaste
aree del pianeta portano ad inevitabili scontri con scivolamento di una
placca sotto l’altra (zona di subduzione) e accumulo di fortissima
energia sismica oltre che di elevato vulcanesimo.
Il terremoto di Sumatra è stato classificato come di
magnitudo 9, quindi
fortissimo, basti pensare che i terremoti di Messina del 1908, quello
dell’Irpinia del 1980 erano circa di magnitudo 7, ma un terremoto di
magnitudo 7 è 30 volte più piccolo (in termini energetici) di un
terremoto di magnitudo 8, che a sua volta è
900 (novecento) volte
più
piccolo di un terremoto di magnitudo 9.
Le onde di maremoto che si sviluppano da sismi di questa portata hanno
delle caratteristiche ben precise.
La velocità con cui si propagano in mare aperto che arriva a superare i
700-800 km/h è infatti legata alla profondità dell’Oceano su cui si
propaga. Velocità che è talmente elevata da lasciare ben poco tempo
per allertare i paesi che sono nelle immediate vicinanze dell’epicentro
dove ovviamente l’energia dello Tsunami è ai massimi livelli. Tale
energia si dissipa man mano che ci si allontana radialmente dal punto di
genesi dello Tsunami stesso.
La lunghezza dell’onda misurata da cresta a cresta o da cavo a cavo và
in mare aperto dalle decine alle centinaia di km.
L’altezza dell’onda che raramente supera in mare aperto il metro o due.
Periodo che è il tempo che intercorre tra una cresta e l’altra, che va da qualche minuto a un’ora circa.Con queste caratteristiche si capisce bene che in
Oceano aperto queste
onde non possono minimamente impensierire i naviganti, che spesso
neanche si accorgono di ciò che sta accadendo.
Assolutamente diverso è ciò che accade quando uno Tsunami arriva sulla
costa dove può scatenare tutta la sua energia distruttiva in base alla
morfologia costiera. Faremo per semplicità un paio di esempi.
Esempio 1: immaginiamo di avere una scogliera verticale o sub verticale
che si erga da un mare profondo circostante. In questo caso all’arrivo
dello Tsunami vedremo semplicemente la superficie del mare alzarsi ed
abbassarsi con un periodo che va dai pochi minuti all’ora (vedi sopra)
e con un’altezza d’onda che è quella che si misurerebbe in mare aperto.
Il tutto non provocherebbe danni di sorta perché la morfologia della
scogliera ha impedito all’enorme energia potenziale dello Tsunami di
trasformarsi in energia cinetica, in definitiva un’enorme massa d’acqua
si è alzata e poi si è abbassata stando al suo posto.
Esempio 2: immaginiamo ora (e purtroppo
è il caso più frequente) che
la morfologia della costa presenti pendii subacquei dolcemente
degradanti verso le profondità del mare. L'onda in arrivo alla
fortissima velocità che abbiamo visto, inizia a “sentire il fondo”,
la parte frontale dell’onda è costretta a rallentare incalzata da
dietro dal resto dell’onda che preme e che non ha altro sfogo che
crescere in altezza raggiungendo dimensioni a volte di 10/20 metri come
un muro d’acqua che avanza spumeggiando, distruggendo tutto ciò che
trova.
Nello Tsunami del 26 dicembre dal punto epicentrale l’onda di maremoto si
è
propagata
verso Ovest presentando prima la cresta dell’onda.
Verso Est presentando prima il cavo dell’onda.
Questo ha comportato sulle coste ad Est dell’epicentro una prima fase di
forte ritiro delle acque del mare (baie svuotate, reef completamente
scoperti, persone che vanno incuriosite a vedere che succede, ecc.) e una
seconda fase di irruzione violenta delle acque con l’arrivo della
cresta dell’onda.
Situazione alle Maldive
L’arcipelago maldiviano trovandosi ad Ovest dell’epicentro e a migliaia
di km dallo stesso è stato investito prima dalla cresta dell’onda.
“Fortunatamente“ il tutto è avvenuto in un momento di bassa marea
quindi c’è stato un effetto smorzante notevole. Diverso e più
devastante sarebbe stato uno Tsunami avvenuto in regime di alta o
altissima marea. Tra l’altro la morfologia delle scogliere coralline maldiviane che sul lato esterno degli atolli sprofondano rapidamente
verso il fondo, ha fatto si che l’onda abbia iniziato la sua corsa sul reef (energia cinetica, vedi sopra) solo dopo essere riuscita a scavalcare
la sommità dei reef esterni, presentando un‘altezza massima stimata
di circa 150 cm dal livello medio del mare. Da testimonianze raccolte
direttamente nei villaggi maldiviani sembra che i danni maggiori siano
stati fatti dal rapido defluire delle acque dopo il passaggio dell’onda,
complice, tra l’altro, tutto quel detrito di vario genere che si era
creato (piante, mobili, imbarcazioni, legname ecc.). Tra l’altro
nelle isole di pescatori maldiviane le abitazioni sono semplicemente
appoggiate sulla sabbia e quindi quasi sempre prive di fondamenta, va
da se cosa sono gli effetti di un metro di acqua che spinge contro muri
(effetto vela) non saldamente ancorati al terreno. Nella capitale Male’, dove gran parte dei palazzi
è costruito con normali criteri edilizi
non si sono rilevati effetti di sorta.
Situazione reef
Gli atolli maldiviani presentano dei canali di comunicazione con
l’Oceano aperto, le cosiddette “Pass”.
Le Pass interrompono il
susseguirsi dei grandi reef esterni e permettono lo scambio delle acque
tra Oceano aperto e l’interno degli atolli.
Essendo le uniche aperture
verso l’Oceano è lì che si convoglia gran parte della massa d’acqua che
entra o esce dagli atolli con il ritmo delle maree (ed altro). Le
correnti che si creano a volte in queste Pass sono estremamente violente, ma niente al confronto della corrente che si
è sviluppata al
passaggio dello Tsunami che potremmo definire come
“un’alta marea di
dimensioni eccezionali”.
Le Pass sono colonizzate da particolari tipi di
coralli estremamente resistenti alla corrente, ma certo non tanto
resistenti da resistere ad una “super corrente”.
I danni infatti ci sono
stati, ma assolutamente e fortunatamente circoscritti a piccole aree.
Dalle informazioni che ho ricevuto qui alle Maldive, dai vari centri
subacquei e da ciò che ho personalmente visto sott’acqua, direi che è
“andata bene” anche se sarà necessario monitorare seriamente la
situazione in vari punti dell’arcipelago. Personalmente il fatto che più temevo era la copertura sabbiosa dei coralli che poteva derivare
dal fatto che un enorme massa di sabbia è stata strappata dalle isole
dal passaggio dello Tsunami. Questa copertura sabbiosa avrebbe potuto
“soffocare” il corallo provocandone la morte impedendo la possibilità
di ricevere la luce necessaria al suo nutrimento. Fortunatamente le
correnti sembra abbiano già fatto pulizia e la situazione sta tornando
rapidamente alla normalità.
E' logico che la situazione andrà
monitorata seriamente e sarà il 'life motive' della
Crociera Scientifica
2005 di Albatros Top Boat
che studierà le condizioni dei
reef dopo lo Tsunami. Un grazie particolare và, tra gli altri,
all’isola di Nika, che ha
già dato il suo benestare per la creazione sull’isola di un
punto “reef
cheek” dove gli
istruttori e i collaboratori di Albatros Top Boat potranno monitorare la
salute dei coralli e del reef.
Massimo Sandrini (geologo-oceanografo)
Gli
approfondimenti di www.tuttomaldive.it
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