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Abbiamo
chiesto al professor
Mario Panizza,
Professore ordinario di Geomorfologia applicata dell'Università di
Modena e Reggio Emilia e Presidente dell'Associazione Internazionale di
Geomorfologia
di spiegarci cosa ha permesso alle isole dell'arcipelago Maldiviano di
uscire quasi indenni, in confronto al resto del Sud-Est Asiatico, dal
maremoto del 26 dicembre 2004.
A differenza delle onde
generate dal vento, che interessano soltanto la parte più superficiale
del mare (al massimo una decina di metri) e che assumono velocità
massime di alcune decine di km/ora, le onde di maremoto coinvolgono
tutta la massa d'acqua e si propagano con velocità molto elevate, anche
superiori ai 500 km/ora. Possiedono un'ingente energia e una terribile
forza distruttiva sulle coste che si trovano ad incontrare. Le più
catastrofiche sono avvenute nelle aree oceaniche e soprattutto nel
Pacifico e sono note con il nome di tsunami.
Il recente terremoto nell'Oceano Indiano, con una magnitudo di 8,9, ha
provocato uno tsunami con onde a luoghi superiori ai 10 metri d'altezza.
Si è constatato che, mentre nelle zone del continente asiatico,
dell'Indonesia e delle isole ad essi
prospicienti, come lo Sri Lanka, le Andamane e le Nicobare, la violenza
del maremoto è stata catastrofica, nelle isole Maldive non si è
verificata un'analoga ondata d'urto. Ciò è dovuto al fatto che ai
margini delle coste del continente asiatico, di Sumatra e delle suddette
isole del Golfo del Bengala la grande irregolarità del fondo marino
(figura 1), con anche bassi fondali, ha provocato una notevole
deformazione dell'onda di maremoto per l'attrito col fondo del mare
all'approssimarsi della costa, con conseguente trasferimento dell'enorme
energia cinetica, di cui essa è dotata, verso la cresta dell'onda
stessa, provocandone un innalzamento e un violento rovesciamento contro
il litorale (come un gigantesco frangente di costa).
Nel caso delle isole Maldive, invece, si tratta di atolli corallini
(formatisi prevalentemente sulle vette di antichi vulcani sottomarini),
delimitati da scarpate molto ripide e circondati da mari di colpo
profondi (ad Est la Fossa delle Chagos) e senza piattaforma litorale
(figura 2):
di conseguenza non si sono verificati, se non molto ridotti, i
suddetti fenomeni di deformazione e di rovesciamento delle onde di
maremoto, ma quasi soltanto dei fenomeni di allagamento pur di rilevante
entità, ma senz'altro con conseguenze meno disastrose delle del maremoto
avvenute negli altri litorali. Da considerare inoltre che una parte
dell'energia d'urto è stata assorbita dalla barriera corallina
orientale, all'esterno delle isole vere e proprie.
Figura 1 - Batimetria del tratto di Oceano Indiano comprendente la
porzione settentrionale dell'isola di Sumatra e le isole Andamane. Le
isobate (linee che congiungono i punti a egual profondità) mostrano un
fondo marino progradante irregolarmente verso il Golfo del Bengala.
Questa morfologia ha determinato il catastrofico rovesciamento dell'onda
di maremoto verso le regioni costiere affacciantisi verso Ovest.
Figura 2 - Batimetria dell'Oceano Indiano circostante l'arcipelago delle
Maldive. E' indicata l'isobata di -1830 metri, che mostra il repentino
inabissarsi del fondo marino verso le fosse oceaniche circostanti (ad
Est la Fossa delle Chagos).
Prof. Mario PANIZZA
(Professore ordinario di Geomorfologia applicata, Università di
Modena e Reggio Emilia)
(Presidente dell'Associazione Internazionale di Geomorfologia))
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