Palm Beach 2005  

maggio 2005 by Luca&Ale


Il viaggio 
La stanchezza del volo è scomparsa all’improvviso. l'avatar di luca (fushifaru) sul forum di www.tuttomaldive.it Sono a Male dopo una sonnacchiosa nottata, trascorsa sdraiato tra i tre sedili centrali dell’airbus 330, eccomi arrivato. Il viaggio è stato confortevole, ma provo una gran gioia, nel muovere i passi verso l’uscita. Appena fuori, sulla scaletta dell’aereo, mi avvolge una vampata di aria umida e calda. 
“Bentornato, sembrano sussurrarmi la lieve brezza dal mare, quel gabbiano in volo, il sorriso del bambino incontrato all’aeroporto. Sono appena le dieci del mattino ma il sole è già forte. 
Lo zaino, che porto sulle spalle, con tutto il materiale fotografico, di colpo sembra più leggero. Rapito dai colori del mare non sento quasi neanche più l’afa. 
“Sukuria” è il ringraziamento in dhiveli (la lingua maldiviana) che rivolgo all’impiegato doganale che timbra il mio passaporto. Grazie è la prima parola che imparo in una lingua straniera e non solo per una questione di rispetto. Bene, ora che ho esaurito il mio repertorio di parole maldiviane, ho il tempo di prendere il resto del mio bagaglio poi un minibus mi trasporta, attraversando la pista dell’aereoporto, in prossimità dello scalo riservato alle partenze degli idrovolanti. Eccola qua: MDI la carta di imbarco giallo fluorescente in plastica (e quindi riutilizzabile) mi viene consegnata dopo avere registrato il bagaglio sul volo per il mio resort. Senza il peso ed il bisogno di badare alle mie cose con l’attenzione maniacale a cui ci abituano le nostre grandi città, mollo lo zaino su una poltrona e mi affaccio verso il mare quasi a rivolgere un saluto intimo a questo mare che adoro e che ora è proprio a due passi da me. Mi reco al bar e nella sala di attesa Keema Lounge, sorseggio del the caldo; mentre l’euforia della partenza, che mi portavo addosso da giorni, lascia spazio alla consapevolezza d’esser giunto alla mèta del viaggio. Mi sento bene. Con piccoli pizzichi di tabacco carico la pipa, sono seduto e rilassato, un piccolo colpo di polpastrelli ed il fornello (della pipa) è pronto. Accendo, aspiro il fumo assaporandone l’aroma… è un locale pubblico ma è completamente aperto con ampi spazi che si aprono verso lo scalo degli idrovolanti. Gli idrovolanti di Maldivian Air Taxi (rossi e bianchi) e quelli del diretto competitor Trans Maldivian Air (Gialli e blu) sembrano grosse libellule sonnacchiose. Mentre osservo distratto gli strani disegni che il fumo della mia pipa disegna con azzurrognola consistenza nell’aria, mi sento chiamare. “Ciao Luca”. E’ davvero incredibile proprio qui incontro Salvatore il direttore del primo resort Maldiviano dove ho soggiornato (Moofushi) e Luca, il gestore del primo diving center dove mi sono brevettato..Che sorpresa e che bello chiacchierare con loro, sentire le ultime novità del luogo. Mi fa sentire tutto più familiare. Sì, ormai dopo tante volte sono noti i visi di quasi tutti gli assistenti dei vari T.o. e dello staff che lavora allo scalo, però poter condividere un po dell’amore che provo per questa “terra”…. Oddio in una nazione composta da migliaia di isole perse nell’oceano, il termine terra suona un po strano… Meglio chiamarlo “Spazio”. Sì perché per me le Maldive son proprio questo uno sconfinato spazio da riempire con le proprie emozioni, la propria serenità…i propri sogni.. “Palm Beach Yellow card gate 1” “attention passengers to Palm Beach yellow card gate 1” Eccolo! Tocca a noi! Gli idrovolanti hanno una capienza massima di quindici posti pertanto, nell’ottica dell’ottimizzazione dei costi, si cercano di sfruttare le tratte dei propri compiendo anche un paio di tappe intermedie prima di arrivare a destinazione.
Salgo a bordo. Mi siedo su una poltrona singola (la configurazione dell’idrovolante prevede un posto singolo, il corridoio e due poltrone vicine). Ascolto con sincera simpatia la spiegazione del ragazzo maldiviano a bordo che ci indica la destinazione e le altre fermate, ci indica le uscite di sicurezza ed alla fine ci suggerisce di prestare attenzione al foglio notizie nella tasca della poltrona di fronte, utilizzabile anche e soprattutto … per sventolarsi!!! In effetti ora che lo stesso ragazzo maldiviano ha sciolto gli ormeggi ed ha chiuso il portellone, dentro la cabina c’è un caldo afoso.
Forse anche per questo motivo i piloti degli idrovolanti svolgono il loro lavoroi con camicia bianca, bermuda verdi e .. scalzi, sì scalzi! Gli idrovolanti utilizzati sono i DeHavilland TwinOtter e seppure di progettazione non recentissima, sono proprio per questo assolutamente collaudati. Versatili e maneggevoli vengono utilizzati con successo anche nei climi estremamente rigidi del Canada. Gli stessi piloti della Maldivian air Taxi sono quasi tutti Canadesi. 
Il motore comincia a rullare. Poi, aumenta il numero dei giri. I piloti prendono i comandi ed pongono le mani insieme sulle leve di accelerazione. Una breve e nervosa rincorsa e tra rumore, gridolini sei passeggeri e schizzi gli dell’acqua, ed il velivolo si alza leggero finché Il colore turchese del mare non si cofonde con l’azzurro del cielo limpido.
E’ un’emozione unica, un tripudio di colori accesi e mentre in lontananza scompare l’aeroporto di Male ed il nuovo letteralmente strappato dal mare e creato per mano dell’uomo. Si allontana la Capitale, ultimo avamposto di una città con clacson ed automobili, io mi sento sempre più sereno e felice. Sento che persino i miei pensieri, i problemi diventano più rarefatti, leggeri. Lo stress del lavoro, la preoccupazione per il mio cuore, che solo una settimana fa aveva cominciato a fare le bizze, tutto diviene inconsistente e scompare tra le nuvole, proprio come fa ora il nostro aereo.
Socchiudo gli occhi seguendo il filo dei miei pensieri. Un filo che non è più logico, non tanto almeno. E loro, i pensieri, s’inseguono e giocano a rincorrersi come rondini in primavera, come scolaretti all’uscita di scuola: mi assopisco. Uno scossone mi fa trasalire. Le eliche dei motori aumentano i giri e fanno un gran baccano; fuori dal finestrino non si vede nulla, ho l’impressione di esser caduto in un barattolo di vernice grigia. Non ho paura e continuo a guardar fuori. Anche e soprattutto perché i volti dei passeggeri, sono tirati e sono certo che, se mi rivolgessi verso di loro, mi verrebbe da ridere, pensando ad un mio amico che ha il terrore di volare. “Siamo in una turbolenza” “Come si balla!” li sento commentare.
D’un tratto da uno squarcio di nuvola ecco filtrare un timido raggio di sole. E’ giusto un attimo, ma basta a farci tirare un respiro di sollievo.. breve. L’aereo si rituffa in un altro
cumulo di nubi. In questo periodo dell’anno, è abbastanza normale trovare condizioni meteorologiche instabili. I Monsoni, si spostano dall’India verso l’Oceano, portando su Sri Lanka e Maldive perturbazioni che a volte si trasformano in veri e propri nubifragi. Il tempo cambia repentinamente col soffiare del vento. Ad un acquazzone “apocalittico” può seguire, un cielo limpido e terso nel giro di mezz’ora. 
Ma tutto sommato, è una caratteristica che mi intriga e forse, rende ancor più magiche queste isole. Niente è scontato qui. Possono scomparire spiagge col variare delle maree, nascere nuove isole; una sola padrona domina: la natura.
Una lama di luce mi costringe a socchiudere gli occhi, distogliendomi dalle mie considerazioni. Siamo finalmente fuori dalle nuvole cariche di pioggia. Sotto di noi, ecco apparire le prime isole che compongono l’atollo di Lhaviyani.
“Le lacrime di Allah”, una volta ho sentito chiamarle così queste isole. Non ricordo chi mi ha raccontato una leggenda secondo la quale, gli atolli sarebbero nati dal pianto divino di Dio. L’Islam è giunto fin qui dalla penisola arabica spodestando le preesistenti dottrine, ed oggi è la religione professata, dalla maggior parte della popolazione locale.
Legenda o no, da quassù è difficile trattenere una certa molto intensa. I miei occhi sono così sazi ed appagati dal paesaggio, che mi costringono ad indossare un paio di occhiali scuri. Non vorrei lasciarmi sfuggire un “furtiva lacrima” meno nobile di quelle a cui accennavo prima.
Sembra di essere in paradiso. Si percepisce la perfezione della Creazione e la grande energia vitale, che permea luoghi puri ed incontaminati come questi.
E’ difficile credere che l’uomo moderno, debba trovarsi in una situazione di eterno conflitto con la Natura. Possibile che nel suo processo evolutivo, il genere umano, abbia perduto ogni forma di rispetto, di cura, di gratitudine nei confronti dell’ambiente che lo circonda?
Non mi sento migliore di nessuno e non credo che, certe valutazioni, siano appannaggio esclusivo di chi come me, sorvola atolli tropicali. Basterebbe un briciolo di coscienza in più; se ognuno di noi facesse la sua parte…

Palm Beach (Madhiriguraidoo)
La silouette di Madhiriguraidoo (l’isola delle zanzare) appare in lontananza, cominciamo la nostra discesa. Ho tutto il tempo di aprire lo zaino, armarmi di fotocamera e teleobiettivo. Ho promesso al Boss di Alessandra, di effettuare delle riprese aeree del loro villaggio turistico. Click, click, click Tra uno scatto e l’altro, comincio a distinguere i primi bungalows. Poi, il ristorante, la piscina, il centro diving.
Un passaggio completo sopra l’isola, poi un altro. I piloti vogliono farci godere la veduta fino alla fine; sembriamo un enorme uccello predatore, prima di avventarsi sulla vittima… Il rumore del motore diminuisce, scendiamo picchiando verso il reef. L’acqua del mare si imbianca, ed il finestrino si riempie di spruzzi quando i galleggianti dell’idrovolante toccano la superficie. Finalmente arrivato. Dal finestrino, scorgo il personale e lo staff di animazione, venuti sulla spiaggia ad accoglierci col loro benvenuto.
Una sorta di passerella, viene posta tra il galleggiante sinistro del velivolo, sotto la scaletta e la spiaggia; è traballante, ma ci consente di evitare, il trasbordo dalla piattaforma al centro della laguna e la riva.
Raccolgo le mie cose, ripongo la macchina fotografica e scendo per ultimo; sono emozionato! Dopo più di due settimane rivedrò Alessandra. Alessandra.. Alessandra? E’ incredibile, riconosco e riesco ad intravedere di Lei, solo gli occhi ed i denti che scintillano al sole, nel suo sorriso. La sua pelle è diventata così scura! Indossa il suo pareo preferito. Quello indiano rosso porpora, con i ricami dorati. I nostri sguardi si incontrano e sorridiamo. 
Lei porta le mani giunte, come in preghiera innanzi alla fronte e piega lievemente il capo in avanti in segno di riverenza.
“Saluto il mio maestro di Reiki e di Vita!” Arrossisco di colpo (non è colpa del caldo). Non mi aspettavo, di sentirle pronunciare queste parole. Due giorni fa ho fatto un’altra esperienza nel sentiero del Reiki. Sono diventato Master e prima o poi, darò anche a Lei questo terzo livello. Il motivo del suo saluto è proprio questo. Ma Lei, ancora non sa che non mi sento per nulla un “maestro” . Non riesco a conoscere a fondo ed aiutare me stesso; non mi sento costantemente in connessione con l’Energia vitale universale, come posso credere di esser la guida di qualcun altro? 
Ma In questo momento, tali pensieri mi scivolano addosso senza toccarmi, il desiderio più grande ora, è riabbracciare Ale, sancendo con quell’abbraccio la fine del viaggio: l’arrivo a “Casa”: le sue braccia. Ed è un lungo abbraccio silente, quello che ci scambiamo; poi la sollevo in aria e suggelliamo quest’attimo, con le nostre labbra che si incontrano. La sento è felice; felice e fragrante come il profumo dell’olio di cocco che ha sui capelli; penetrante ed intenso come l’odore del mare. Il tempo di bere un succo di frutta, poi mi conduce in camera, mentre ci sforziamo di raccontarci nel più breve tempo possibile, come abbiamo trascorso gli ultimi giorni distanti l’una dall’altro.

Mattino..
…Il cielo è coperto e c’è una brezza lieve. Mi sento ancora un po’ scombussolato per il viaggio e non ho riposato molto. Sono abituato a dormire nell’oscurità quasi totale. La nostra bellissima stanza, ha un soggiorno con parquet, poltrone, bar e televisione, con una selezione di programmi via satellite da un po’ tutto il mondo e film a circuito chiuso (è incredibile quanti tele-dipendenti ci siano al mondo!). Alla fine del soggiorno c’è una porta, attraverso la quale si accede alla sala da bagno che è sovrastata dal tetto del bungalow solo per metà. Nella parte coperta, ci sono i due lavabi la vasca ed i servizi. La vasca jacuzzi (ebbene sì c’è anche questa), ed il piatto doccia invece, sono open air! Quindi ogni volta che fai il bagno o la doccia, alzando gli occhi al cielo, puoi ammirare le foglie, i rami degli alberi, uccelli o solo le nuvole che scorrazzano sopra di te. Quasi tutti i resorts maldiviani utilizzano questo tipo di soluzione per il bagno. Devo dire che le prime volte, si prova un certo imbarazzo sebbene questo accorgimento, contribuisca ad entrare in un atmosfera molto “easy” tipica dei villaggi turistici di questo paese. Però, hai sempre la sensazione d’esser spiato da qualcuno che, di nascosto, ti osserva oltre il muro. 
Alla fine, come per tutte le cose, è tutta una questione di abitudine. Sì, ci si abitua. Ci si abitua anche alla piccola iguana che stamattina, ad esempio mi ha fatto compagnia mentre mi radevo. Era incuriosita e mi domandavo cosa stesse pensando di questo umano che, prima metteva della schiuma sulla faccia, e poi la toglieva via. Mah! Dal soggiorno, pieno di ampie vetrate, si raggiunge con una scala di legno, la camera da letto al primo piano. Il letto è rivolto verso il terrazzo e la luce, riempie la stanza, fin dai primi bagliori dell’alba; anche perché i tendaggi, sono costituiti da pannelli di stuoia, molto sottili. Lo ammetto sono un rompiscatole cittadino ma in questo paradiso di luce, colori, e suoni (rumore del mare, uccelli, gechi ecc.), non sono capace di dormire… sarà come per il bagno… questione di abitudine. Sta di fatto, che ormai sono in piedi; indosso quindi il primo costume che trovo, un pareo ed esco.
La sabbia corallina è soffice; ad ogni passo vedo schizzar via piccoli granchietti che si affrettano a rientrare nelle tane. 
Ci sono impronte strane in terra. Cerco di indovinarne gli autori: un “tridente” di circa 10 centimetri? Vabbè ho iniziato dal più facile. Questa è l’impronta di uno dei due aironi che vive sull’isola. Poi cos’abbiamo, un ghirigoro con volute che s’intrecciano. MMh un po’ più difficile stavolta. E’ la traccia
lasciata da quel paguro che trascina la sua conica casetta chissà dove… Sorrido tra me. L’aria è pulita, e quella grande massa d’acqua pulsante che ho di fronte, sembra sorridere con me! Una breve rincorsa e Splash! L’acqua è calda, viva e quasi frizzante; un’autentica meraviglia … mi godo il bagno alla faccia dell’idromassaggio! Mi lascio trasportare dalla corrente assecondandola. Poi, comincio a nuotare lentamente. Una bracciata dopo l’altra, senza fretta.
Esco dall’acqua e dopo aver disteso sulla spiaggia il pareo, mi siedo ad osservare: laggiù sulla linea dell’orizzonte appena
Increspata, spazio con lo sguardo verso la barriera corallina. Contemplando il paesaggio, cerco di concentrare la mia attenzione su ciò che mi circonda.
Sento il rumore dell’oceano sul reef . E’ un suono profondo e continuo. Come il rombo echeggiante del motore della creazione. Inspiro profondamente, tutto mi sembra dilatarsi, espandersi come i miei sensi che ora più che mai, percepiscono il luogo in cui mi trovo. Avverto in maniera differente, il profumo del mare, il suo colore, la consistenza della sabbia, il canto degli uccelli, il sapore del sale che si è asciugato sul mio viso.
Da spettatore mi sento diventato in qualche modo, parte integrante del quadro, di cui ora faccio parte. Sono qui, sono io,
sono vivo in un momento magico di condivisione col Creato.
Quale frangente migliore, per potermi dedicare allo Yoga? Yoga significa unione la parola che meglio definisce il mio stato. Sono sereno (bella forza!) e comincio a praticare una asana dopo l’altra. Sembra quasi che vengano da sole. Non faccio sforzo, ed indugio nelle posture, senza forzare. Effettuo le posizioni con una scioltezza ed una fluidità, che mi riportano col pensiero all’acqua. Acqua pura, a perdita d’occhio. Acqua ovunque ed io, sono una goccia della stessa acqua. Una goccia al cospetto dell’Oceano…

Prima dell’immersione
…Il Dhoni è la tipica imbarcazione delle isole Maldive. Somiglia ai gozzi, che usano i pescatori e che spesso si vedono ormeggiati, nei nostri porticcioli (soprattutto quelli meno turistici). La chiglia è più larga del gozzo e lo scafo, termina a prua, con una specie di “polena” a forma di scimitarra ricurva. E’ il mezzo di trasporto sicuramente più diffuso, per collegare le varie isole dell’arcipelago e, viene utilizzato, sia per il trasporto di persone o merci, sia per la pesca. Spinto da un motore dal suono cupo, il Dhoni scivola dolcemente sull’acqua con ritmo monotono, ed assecondando l’andamento stesso del moto ondoso e della corrente. Le onde dell’oceano, sono lunghe maestose e sembrano sollevare l’imbarcazione, quasi per richiederci attenzione e rispetto. Sono onde che enfatizzano i movimenti incerti di chi come me, pur amandolo, non ha vissuto sul mare.
Quella di stamattina, è la prima immersione che mi accingo a fare. Diciamo che si tratta di un assaggino; una specie di ambientamento per mettere in condizione l’istruttore sub dell’isola in cui soggiorno, di valutare il livello e la confidenza già acquisita, dai praticanti. E’ un proforma lo so, ed è necessario. E poi tutto sommato, è meglio cominciare con qualcosa di semplice. “Non ci allontaniamo molto da Madhiriguraidoo” esclama Teo, l’istruttore. “Per fortuna” penso tra me. Comincio ad avvertire un lieve senso di nausea da mal di mare. Ci prepariamo: dopo un esordio goffo che mi ha visto quasi sbatter il muso per terra, azzecco un paio di movimenti e riesco ad infilare entrambe le gambe, nei pantaloni della muta. Mi sento buffo, sembro un contorsionista ma alla fine ecco, sono riuscito a far entrare anche le braccia. Il rumore della chiusura lampo segna il termine, di questa performance da equilibrista. Bene, ora controllo in resto dell’attrezzatura. Fisso per prima cosa l’equilibratore idrostatico, meglio conosciuto come gav, alla bombola.
Connetto il primo stadio alla stessa, attraverso la rubinetteria che ho l’accorgimento di non stringere a morte, altrimenti con la pressione dell’aria dopo l’immersione, diverrebbe quasi
impossibile da riaprire. Connetto una delle quattro fruste che compongono l’octopus al gav; sullo stesso, fisso il manometro ed il respiratore giallo di emergenza (precedentemente testato). Fatto ciò, rimane l’erogatore principale. Lo porto alla bocca ed inspiro.
L’aria passa regolarmente sibilando: Tutto ok funziona! Sistemo un piombo da un chilo nella tasca del gav. Indosso le pinne e pulisco la maschera (rigorosamente con la saliva).
Un veloce check per controllare se dimentico nulla… lo sapevo, nella cesta sotto di me la macchina fotografica sembra dirmi “Ehi ci sono anch’io!”; la recupero e la fisso al polso.
“Ragazzi, mi raccomando” esordisce Teo, prima di tuffarci, “C’è molta corrente perciò, cercate di scendere sul fondo quanto più velocemente potete. Poi trovato un appiglio ancoratevi sul fondo ed aspettate il resto del gruppo.. Buona immersione!”
Prendo questo avvertimento per quello che è, e senza preoccuparmene troppo. Conosco le insidie del mare, e ne sono sempre consapevole. Certo, avrei preferito non ci fossero correnti perché sono esattamente otto mesi che non faccio immersioni con autorespiratore. L’ultima volta è stata proprio in questa stessa isola e più o meno, nello stesso tratto di mare. No, decisamente non sono preoccupato. Seppure lo fossi, i desiderio di tuffarmi è troppo forte; troppa l’attrazione che suscita l’acqua in me; troppe il fascino e la curiosità. Raggiungo goffamente il bordo del Dhoni, metto una mano sulla maschera, per non farla scivolar via all’impatto col mare. Un passo lungo, nel vuoto verso il blu, il famoso passo del gigante e.. Splash eccomi in mare.

Deep Blue
La temperatura dell’acqua è piacevole, nonostante ci si trovi in mare aperto. Un ultimo sguardo all’imbarcazione accanto a me, poi porto la mano al tubo corrugato del gav e schiaccio il pulsante che aziona la valvola di sgonfiaggio. Sento immediatamente, la pressione del giubbotto sul torace diminuire mentre, in danzante turbinio di bolle d’aria che gorgogliano intorno a me, comincio la discesa. Continuo a compensare la pressione dell’acqua sul timpano, soffiando forte col naso e tappato da indice e medio. Procede tutto bene. Ho toccato ora il fondo! Toccato è la parola giusta! C’è corrente come prevedevamo e per non finire su un corallo col rischio di danneggiarlo, ho urtato su una roccia con la caviglia. “Principiante” dico tra me, ed osservo le volute che il sangue, uscendo dalla lacerazione, disegna e che trovo, molto simili al fumo della mia pipa. Per cercare di distrarmi guardo il profondimetro: segna –14metri. Teo ora ci ha raggiunti e ci fa cenno di “mollare gli ormeggi” (sembriamo svolazzanti bandiere) e di seguirlo, lasciandoci aiutare dalla corrente, in direzione del reef. Comincio a prendere coscienza del mio respiro, di ciò che ogni gesto respiratorio provoca nel mio assetto idrostatico. Inspiro e lievemente e tendo da risalire in superficie. Espirando, ridiscendo in assetto negativo. Poi, improvvisamente torna quella sensazione di pace e di calma, percepita ieri mattina. Continuiamo a scendere, mentre i suoni diventano più rarefatti, i colori perdono vivacità uniformandosi (soprattutto con l’aumentare della distanza tra l’osservatore e ciò che lo circonda); finché, non si percepisce, un’unica tonalità: il Blu. Del resto, ormai la luce del sole filtra a fatica, con raggi sottili e quasi inconsistenti la massa d’acqua che ci sovrasta. Sembrano fili d’argento che piovono su di noi dalla superficie. Non riesco a smettere di pensare a me stesso come all’interno di un ancestrale grembo materno. In assenza di peso, di suoni, immerso in un liquido tiepido… sento solo il sibilo ed il gorgoglio dell’aria che respiro. Forse la vita, prima del parto, è un’esperienza molto simile a questa. Ciò spiegherebbe, il motivo per cui i neonati piangono tanto! Chissà se anche la vita dopo la morte non è uguale a quel che provo? Un ricongiungersi, fondersi e tornare unità, in un oceano di pace ed energia azzurra…
Un pesce pappagallo, mi si è avvicinato coi suoi colori sgargianti e sembra fissarmi incuriosito intuendo, i miei pensieri. Il tempo di sorridergli, cercare di sfiorarlo con la mano come un gesto di saluto, ed in un attimo, mi volta le spalle, e scompare scivolando tra la vegetazione e le rocce della barriera corallina accanto a me…

Palm Beach
Cento camere (Villas, superior e de luxe, più le prossime presidential suites) disseminate su più di un chilometro e seicento metri di lunghezza per trecento di larghezza, duemila palme, tre ristoranti…. Ma no, no, non si può racchiudere il fascino, la sensazione di magia ed il profumo di quest’isola, in aridi dettagli numerici. Io non posso, non riesco a credere che esistano parole in grado di descrivere la gioia di poter lanciare lo sguardo lungo la linea ininterrotta dell’orizzonte. Forse nella frenesia della vita conduciamo niente più di un’isola ci riporta alla condizione ideale del nostro essere. Torniamo allora ad emozionarci per il semplice sorgere e tramontare del sole, per gli animali e per quell’universo liquido che ci affascina col suo perpetuo immutabile sinuoso movimento.

Luca (Fushifaru) 

maggio 2005 by Luca&Ale


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